giovedì 26 ottobre 2017

LA REGOLA FONDAMENTALE DELL'INVESTIGATORE PRIVATO







by Andrea Frighi

Comincerò l’analisi sul mondo dell’investigazione da un elemento che può apparire banale ma che si rivela essere basilare per la nostra professione. È qualcosa di talmente radicato negli addetti ai lavori che spesso dimenticano di istruire a dovere i propri collaboratori: la prima e fondamentale regola dell’investigatore privato.

E cioè NON DIRE A NESSUNO, PER NESSUNA RAGIONE, DI ESSERE UN INVESTIGATORE PRIVATO.

Questo dettame è essenziale quando il detective sta svolgendo un servizio sul campo ma a mio modo di vedere è bene seguire la regola anche nella vita privata, soprattutto quando la qualifica dell’investigatore è quella di collaboratore esterno (colui che svolge le indagini sul campo), oggi denigrato dalla nuova legge a semplice “collaboratore per indagini elementari” (scelta davvero infelice dal momento che in un’agenzia investigativa è la figura che svolge tutto il lavoro sporco e dovrebbe essere quindi quella di maggior rilievo).
Può sembrare strano ed effettivamente noi titolari di agenzia siamo costretti a bypassare questo principio per ovvie ragioni pubblicitarie ma ricordo che quando ero collaboratore e conoscevo qualche persona nuova non facevo alcun riferimento alla mia reale attività. Spesso mentivo o lasciavo appositamente cadere il discorso.

Non si tratta di essere fanatici o spaventati: il fatto è che l’obiettivo finale del detective è la protezione del cliente e non potrete difendere il cliente se prima non proteggete voi stessi. Questo concetto è fondamentale e sarà ribadito più volte nel corso dei prossimi articoli.
Potrebbe capitare che l’individuo che vi è stato presentato pochi minuti prima e a cui avete raccontato della vostra vita professionale possa in futuro divenire un vostro sorvegliato. Può accadere che la persona sbagliata venga a conoscenza della vostra qualifica da terzi, magari la stessa persona che avevate agganciato sotto copertura pochi mesi prima. Consiglio sempre ai miei detective di stare in guardia durante le normali situazioni sociali, basta una parola sbagliata al momento sbagliato e possono accadere fatti veramente spiacevoli.

Mi trovavo in discoteca con degli amici in una località distante da casa mia. Ricordavo di aver svolto un servizio in quella zona ai danni di un ragazzo minorenne sospettato di fare uso di sostanze stupefacenti. Fotografie e filmati girati durante la sorveglianza avevano dimostrato che il ragazzo faceva uso di droghe ed era anche un piccolo spacciatore. Il servizio si concluse con l’affidamento temporaneo del giovane ai servizi sociali e con un rancore profondo covato dal minore nei confronti dei detective che lo avevano “incastrato”, a lui ad oggi ancora sconosciuti.
Durante la festa a un certo punto mi ritrovai davanti proprio il ragazzo che avevo pedinato per settimane soltanto alcuni mesi prima. Pochi minuti più tardi lo vidi conversare con un’amica della nostra compagnia: i due si conoscevano. Fortunatamente la ragazza non faceva parte del nostro gruppo di amici storico e si trovava con noi quella sera soltanto per caso. Per questo motivo non le avevo rivelato di essere un detective e avevo pregato i miei amici di non farne accenno. Quando la nostra amica ci presentò il mio “ex-sorvegliato”, evitai quanto meno una situazione imbarazzante.

E’ bene quindi rivelare la reale professione soltanto ai propri cari, al massimo agli amici più stretti.

Quando si sta svolgendo un servizio investigativo vero e proprio il discorso cambia radicalmente: per nessuna ragione bisogna dichiarare apertamente di essere detective. Può capitare di essere individuati dagli abitanti della zona durante un appostamento, oppure di essere “smascherati” dal proprio pedinato durante una sorveglianza. Nel primo caso, qualora rivelaste la vostra identità, salterebbe la copertura poiché la presenza di un investigatore attirerebbe la curiosità della gente, circolerebbe la voce e in poche ore potrebbe giungere alle orecchie del vostro sorvegliato.

Nel secondo caso, una volta messi alle strette, dichiarare di essere un investigatore equivarrebbe a commettere un suicidio. Anche evitare il discorso e allontanarsi intimoriti potrebbe essere controproducente: una bugia ben congegnata è invece necessaria per allontanare i sospetti. Il trucco è scovare sempre una motivazione che giustifichi quello che si è appena fatto. Agli inizi è di vitale importanza formarsela preventivamente nella propria testa, in quanto la mancanza d’esperienza potrebbe giocare brutti scherzi. Bisogna perciò chiedersi: “se mi scopre, che scusa posso inventarmi?” oppure “se dalla finestra di un’abitazione si accorgono della mia presenza che motivo posso avere per starmene qui appostato?”. Si sa, prevenire è meglio che curare. Con il tempo diverrete talmente esperti ad inventare scuse che le piccole bugie dette a fin di bene diverranno in voi una seconda natura.

Seguivo un uomo sospettato di furto ai danni di una grossa azienda. Era uno dei miei primi pedinamenti ed ero ancora inesperto. L’indagato era attento e aveva l’abitudine di girare a vuoto in auto per controllare se fosse seguito ma io non ero a conoscenza di questo suo comportamento. Durante uno dei suoi strani giri in macchina si accorse della mia presenza e mi bloccò la strada all’interno di un grosso parcheggio. Mi chiese con aria seccata che cosa stessi facendo. In pochi secondi mi tornò in mente il percorso che l’uomo aveva compiuto, in pieno centro all’ora di punta e all’interno di due aree parcheggio entrambe senza posti auto disponibili, compresa quella in cui egli mi aveva fermato. Quando con la faccia più incredula del mondo esclamai: “perché me lo chiede? Sto cercando parcheggio da mezz’ora e non riesco a trovarlo” il mio indagato si scusò senza insospettirsi e si allontanò soddisfatto. Certamente non avrei potuto riprendere la sorveglianza ma l’uomo si era quantomeno convinto che nessuno lo stesse controllando. Lo incastrammo poche settimane più tardi mettendogli alle calcagna altri detective.

Molti investigatori ignorano questa regola basilare persino durante un servizio. Sono convinti che non ci sia nulla di male a rivelare la propria attività ad estranei anche durante lo svolgimento di un incarico. Questo discorso regge finché la persona messa al corrente del “segreto” non si scopre essere un conoscente del soggetto che si sta pedinando.

Quando ero ancora un collaboratore io e un mio collega seguivamo una donna per una causa di affidamento minori. Un giorno la signora si recò in un parco pubblico insieme alle figlie e sedette su una panchina mentre le bambine si divertivano a correre nel prato.
Io e il mio collega ci sistemammo su una scalinata da dove potevamo scattare ottime fotografie. La scalinata conduceva però ad un gazebo dove veniva pubblicizzata una bevanda analcolica e due belle ragazze dello stand ci chiesero cortesemente di spostarci perché ostruivamo il passaggio. Stavo per andarmene ma nel mio collega tanta era la voglia di far colpo sulle fanciulle che spifferò la nostra professione e il motivo per cui eravamo lì. Maledii tra me e me l’ingenuo compagno e riprendemmo la sorveglianza. Qualche minuto più tardi vedemmo una delle ragazze allontanarsi dal gazebo e raggiungere la nostra indagata. Era chiaro da come ci guardavano che la giovane stava raccontando di noi alla signora e fummo costretti a sospendere il servizio. In seguito venni a sapere che la ragazza dello stand era la cugina della donna sotto sorveglianza e che era corsa da lei per avvertirla.

Esiste soltanto una categoria di soggetti alla quale è bene, oltre che necessario, raccontare la verità: gli organi di Polizia Giudiziaria.

Ad oggi ne fanno parte i seguenti uffici di polizia:

·         POLIZIA DI STATO
·         ARMA DEI CARABINIERI
·         GUARDIA DI FINANZA
·         POLIZIA LOCALE
·         POLIZIA PENITENZIARIA
·         CORPO FORESTALE DELLO STATO

Capita spesso durante un appostamento di essere individuati dagli abitanti della zona i quali, spaventati, avvertono le forze dell’ordine.
Il detective è obbligato a fornire i propri documenti dietro richiesta della PG oltre a una spiegazione riguardo alla propria presenza sul posto.
Nella maggior parte dei casi dopo i controlli di rito la polizia permette all’investigatore di proseguire il servizio senza complicazioni di sorta.
Potrebbero però insorgere diverse problematiche, osserviamole insieme.
Innanzitutto è bene che i detective tengano a mente la data, l’ora e il luogo del controllo di polizia, oltre al numero di targa dell’autovettura su cui circolavano gli agenti. Questo per poter sporgere denuncia in caso di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine.

Inoltre l’investigatore non è obbligato a rivelare le generalità della persona sotto sorveglianza alle autorità. Nel caso un’informazione simile venga richiesta dalle forze dell’ordine conviene che il detective sorvoli sull’irregolarità della domanda perché questo potrebbe innervosire gli agenti. Sarà sufficiente inventare una piccola bugia sminuendo l’incarico cui si sta lavorando. Mi è capitato di svolgere servizi relativi a furti, truffe o rapine ma agli organi di polizia racconto sempre che si tratta del classico caso di “tradimento”. Gli agenti si sentiranno più tranquilli e non vorranno intromettersi. In questo modo si evita il rischio di compromettere l’indagine.

E’ bene sapere che soltanto la Polizia Giudiziaria può venire a conoscenza del motivo della presenza del detective in una determinata area. Perciò se il civile che ha avvertito le forze dell’ordine vuole assistere alla conversazione per mera curiosità il detective ha tutta la facoltà di allontanarlo.
E’ buona cosa informare preventivamente le autorità locali in caso di lunghi appostamenti presso una piccola cittadina o presso un’area composta unicamente da villette. In questo modo la polizia è avvertita e non potranno insorgere malintesi.

Infine voglio rammentare la netta differenza che passa tra le forze dell’ordine e le guardie giurate anche se la detenzione dell’arma e la divisa indossata da questi ultimi possono creare un po’ di confusione. Per nessuna ragione un vigilante può costringere un civile ad esibire documenti e tanto meno possiede la facoltà di arrestare o fermare qualcuno. Il detective non è nemmeno tenuto a giustificare la propria presenza sul posto: può tranquillamente chiedere di avvisare le forze dell’ordine alle quali verranno date esaustive spiegazioni. Solitamente sconsiglio di portare la discussione sino a questo punto e anche in questo caso è conveniente escogitare la classica scusante che giustifichi la presenza del detective in loco.

Mi trovavo appostato presso il centro storico di una località marina. Per una serie di sfortunate circostanze quel giorno l’unica posizione dalla quale era possibile osservare l’uscita dall’abitazione del mio sorvegliato si trovava in prossimità di una banca. Mi aspettavo che l’indagato uscisse presto al mattino per recarsi alla spiaggia come d’abitudine quindi non mi preoccupai più di tanto. Quella mattina però il mio uomo non si allontanò dalla sua dimora (scoprii in seguito che era influenzato) e rimasi per più di 5 ore appostato davanti alla banca. Intorno alla terza ora il vigilante dell’istituto si avvicinò e mi chiese che cosa stessi facendo seduto in auto da solo per tutto quel tempo. Quasi piangente gli risposi: “ero qui in vacanza con la mia ragazza, abbiamo litigato ed è ripartita sola lasciandomi qui. Volevo solo starmene per i fatti miei a riflettere, se do fastidio mi allontano non c’è alcun problema”. La guardia sorrise e mi rispose che capiva perfettamente come ci si sentisse ad “essere lasciati”. Per quanto lo riguardava potevo starmene seduto in auto per tutto il tempo che volevo. Rimasi appostato per altre due ore, poi sospesi la sorveglianza per non destare ulteriori sospetti.


Sitografia: http://www.aenigmainvestigazioni.it/la-regola-fondamentale-dellinvestigatore-privato/



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